La āndrangheta borghese di Reggio ā Il Comune? Ā«Un unicum, come nemmeno la Palermo ruggente di Cosa nostraĀ»
Quando sono i giornalisti a scriverlo, sono nemici della cittĆ . Quando sono i magistrati della Dna ad affrontare con forza e decisone certi temi (Anna Canepa, Francesco Curcio, Diana De Martino, Antonio Patrono, Roberto Pennisi, Leonida Primicerio, Elisabetta Pugliese, coordinati da Giusto Sciacchitano) i giornalisti si rincuorano.
Nella relazione della Dna per il periodo 1Ā° luglio 2013-30 giugno 2014, presentata ieri a Roma dal capo della Procura Franco Roberti e dalla presidentessa della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi, si legge testualmente che la āndrangheta di Reggio Calabria ha un profilo decisamente piĆ¹ borghese rispetto a quello della āndrangheta ionica e di quella tirrenica. Ed ĆØ ovvio che una simile composizione sociale favorisca lāosmosi con il ceto dirigente e, quindi, con la politica e le Istituzioni.
Nella relazione si legge una prima ragione: Ā«La prima ragione per la quale la āndrangheta reggina ĆØ diventata ā quanto ai suoi vertici ā borghese, risiede nel fatto che essendosi consolidata da generazioni, in ambito cittadino e non rurale, si ĆØ naturalmente evoluta, grazie anche alle risorse economiche di cui disponeva, verso un piĆ¹ elevato livello sociale, mimetizzandosi, cosƬ, in ambienti diversi da quelli di origine.
Sul punto e per capire quanto risalente nel tempo sia questa capacitĆ di penetrazione di tutti gli ambienti borghesi reggini, basterĆ ricordare che giĆ oltre 25 anni fa, il 27 agosto del 1989, venne ucciso, durante la seconda guerra di mafia, su ordine dei Condello/Rosmini/Serraino, a Bocale, Ludovico Ligato ā in ordine di tempo assessore regionale, deputato nazionale democristiano e presidente delle Ferrovie dello Stato ā perchĆ© ritenuto collegato ed intraneo alle (allora) contrapposte famiglie di Reggio cittĆ De Stefano/Tegano/LibriĀ».
Ma cāĆØ una seconda ragione: la capacitĆ delle cosche cittadine che hanno avuto di attrarre al loro interno, proprio nel nuovo contesto sociale in cui si era insediata ā quello delle professioni e delle imprese ā molti appartenenti al ceto dirigente cittadino.
Basta qui? Nossignori. Hanno giocato un ruolo rilevante nella capacitĆ della āndrangheta reggina di gestire i collegamenti in questione, i cosiddetti rapporti massonici, nei quali si sono miscelate e rafforzate reciprocamente, in un grumo inestricabile di rapporti, le istanze āndranghetiste e quelle dei ceti alti della cittĆ di Reggio Calabria.
Siore e siori lo dice il gruppo di lavoro della Procura nazionale antimafia e non lāumile e umido blog che qui leggete, il quale lo scrive soloā¦ dal 2009. Ā«In particolare plurime, e numerose, dichiarazioni di collaboratori di giustizia anche di estrazione diversa, corroborate da informative di polizia giudiziaria, intercettazioni, dichiarazioni testimoniali di soggetti direttamente inseriti in quel contesto, a partire dal noto procedimento āOlimpiaā, ma continuando fino ai giorni nostri ā mettono nero su bianco i sostituti procuratori nazionali antimafia ā dimostrano che ĆØ proprio nella cittĆ di Reggio Calabria che la āndrangheta ha sviluppato in modo piĆ¹ prepotente i citati rapporti, che non sono altro (per la āndrangheta) che un ulteriore strumento per stringere direttamente, o indirettamente, relazioni con gli ambiti piĆ¹ alti di cui si ĆØ detto ovvero per raggiungere (grazie a tali rapporti) i predetti ambiti.
Infine hanno determinato questa particolare attitudine delle cosche di Reggio Calabria cittĆ di rapportarsi ad entitĆ esterne, ragioni storiche che risalgono, prima, ai cosiddetti moti di Reggio Calabria del āBoia chi mollaā, ampiamente descritti nello storico procedimento Olimpia in cui, pure, la āndrangheta cittadina (in particolare la famiglia De Stefano) ha avuto ā al fianco della politica ā un ruolo preminente e, poi, alle connessioni con destra eversiva ed apparati statali deviati che trovarono la loro massima espressione nella vicenda della gestione della latitanza del terrorista nero Franco Freda, iniziata nellāOttobre del 1978 e conclusasi in Costarica lāanno seguente.
Poche vicende esemplari, alcune delle quali hanno superato anche il vaglio giurisdizionale in via definitiva, consentono di dare maggiore ed ulteriore concretezza a quanto fino ad ora ĆØ stato dettoĀ».
Stampa venduta
Ora molti di voi ricorderanno lāincessante e martellante campagna della claque dellāallora sindaco e poi GovernatoreĀ Peppe Scopelliti contro la stampa nemica della cittĆ di Reggio Calabria, della tesi del complotto contro la cittĆ , della regia dietro gli articoli contro la cittĆ e di quante altre amenitĆ varie la libertĆ di stampa (quei pochissimi che la esercitavano e la esercitano) dovettero subire in quel periodo. Personalmente dovetti subire unāincessante campagna di delegittimazione e insulti per quel che ho sempre scritto in realtĆ prima, durante e dopo il āmodello Reggioā. Insulti, minacce e tentativi di delegittimazione che non avranno certo terminato il loro corso.
Ebbene, premesso questo, volete sapere quale esempio calzante la Dna (non il ācialtroneā che vi scrive, quale fui appellato dallāallora Governatore e dai suoi sodali) porta per dare Ā«concretezza a quanto fino ad ora ĆØ stato dettoĀ»?Ā Leggete pure: Ā«Il primo dato oggettivo ĆØ rappresentato dalla vicenda dello scioglimento dellāamministrazione comunale di Reggio Calabria avvenuta alla fine del 2012. Se si voleva una prova della particolare capacitĆ della āndrangheta reggina di rapportarsi con i ceti dirigenti e con la politica e, quindi, di condizionare entrambi, questa ĆØ sicuramente la vicenda in esame, che giova sottolinearlo, ĆØ un vero e proprio unicum. Numerosi infatti sono stati i casi di scioglimenti di amministrazioni medio-piccole, dove le esili strutture burocratiche e politiche sono facile preda delle mafie. Ma mai, neanche nella Palermo degli anni ruggenti di Cosa Nostra, si era verificato che una cittĆ capoluogo di provincia che complessivamente conta piĆ¹ di mille dipendenti, dovesse essere sciolta per condizionamento mafiosoĀ».
E poi ancora si legge: Ā«DallāattivitĆ ispettiva svolta dalla Commissione di accesso risultavano dati davvero significativi della capacitĆ di condizionamento della āndrangheta cittadina nei confronti del Comune di Reggio Calabria. Emergeva, in primo luogo, che la permeabilitĆ alle pressioni āndranghetiste era caratteristica, non solo, della amministrazione eletta appena nel maggio 2011, ma, anche della precedente essendo la seconda caratterizzata, non solo, da continuitĆ politica, ma, anche, personale. Da anni, si era determinato nellāamministrazione reggina, una tendenza che aveva portato lāente, nel migliore delle ipotesi, a farsi condizionare dalle pressioni mafiose, e, nella peggiore, a colludere direttamente con il crimine organizzatoĀ».
Bene, ora sappiamo che ci sono altri nemici di Reggio Calabria, vale a dire quelli che si celano dietro la spectre giudoplutomassonica della Dna. A domani con un nuovo approfondimento.
Ieri, su questo umile e umido blog, avrete seguito la parte relativa alla mafia āborgheseā di Reggio Calabria e allāunicum rappresentato dallo scioglimento del consiglio comunale della cittĆ sullo Stretto.
Oggi si entra ancora piĆ¹ nel vivo di una relazione che, palesemente, ĆØ il frutto di idee diverse sulla storicitĆ e sui pregressi della āndrangheta ma che, forse proprio per questo, questāanno appare aprirsi a quelli che sono sviluppi impensabili fino a qualche anno fa, quando la āndrangheta (cosƬ come la mafia siciliana) era ancora considerata solo santini e riti, violenza e sangue, cicoria e meloni. Sottolineo, perchĆ© per motivi a me ancora oggi ignoti piĆ¹ di un idolatrato/a operatore/trice della Giustizia oltre aiĀ cultori dello scodinzolamento mediatico si ĆØ divertito/a scientemente negli anni a ridicolizzare il mio voler guardare oltre le āmezze veritĆ ā, che ho il massimo disprezzo e il massimo disgusto, nonchĆ© un sommo godimento nel veder marcire in galera i vecchi patriarchi o ācapo crimineā di Cosa nostra e della āndrangheta, mangiatori di cicoria o venditori di ortofrutta che siano, conosciuti o sconosciuti che siano e spero ardentemente he anche lāultimo āmacellaioā dellāignobile catena di violenza mafiosa venga arrestato e assicurato alla Giustizia.
Ebbene, nella relazione consegnata nelle mani del capo della Procura nazionale Franco Roberti, si legge che la āspecializzazioneā delle cosche dei diversi mandamenti in relazione a funzioni diverse, non implica affatto la dismissione, da parte delle stesse, delle altre normali attivitĆ svolte dalle associazioni di āndrangheta: estorsioni, turbative dāasta, omicidi, traffico a medio livello dello stupefacente, controllo degli appalti; queste sono attivitĆ di tutte le cosche a prescindere dal fatto che siano āspecializzateā in questa o quella.
Le cosche reggine tuttavia ā cosƬ come risulta anche da indagini recenti quale quella sulla latitanza dellāimprenditore ed ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena ā non si occupano del grande traffico di stupefacenti ma, come contraltare, sono assegnatarie di un compito ancora diverso e vitale per le cosche insediate negli altri due mandamenti.
Si tratta, ci spiega lāanalisi della Dna, di un compito funzionale allāinteresse di tutto lāorganismo āndranghetista: Ā«quello di curare per conto e nellāinteresse dellāintera organizzazione i rapporti con la politica e le Istituzioni, ad un livello piĆ¹ elevatoĀ».
Se, quindi, immaginiamo, scrive ancora la Dna da pagina 24, Ā la āndrangheta come un Ā«organismo interconnesso, unitario e vivo, quale il corpo umano, di cui il mandamento Ionico e quello Tirrenico sono cuore e membra, la testa non puĆ² che essere nel mandamento del CentroĀ».
I primi in grado (mandamento Ionico e Tirrenico), rispettivamente, di custodire i rituali di Polsi, di essere centro pulsante del grande affare della cocaina, di gestire sia gangli vitali per lāorganizzazione (fra cui essenziale, il Porto di Gioia Tauro) che fondamentali rapporti criminali con le altre mafie, a partire da Cosa Nostra siciliana; lāultimo (cioĆØ i mandamento del Centro), Ā«che ha raggiunto uno stadio evolutivo piĆ¹ avanzato, in grado di mantenere le connessioni, ad un tempo piĆ¹ profonde ed elevate, con entitĆ esterne e zona grigia, da cui dipendono le strategie di fondo dellāintero organismoĀ». Insomma, un cervello a disposizione anche dellāultima articolazione del corpo (non solo ācalabreseā) e che tutto comanda.
Ad un occhio terzo quale rappresento apparirebbe conseguenziale che se la ācapaā, vale a dire lāelemento diabolicamente pensante, strategicamente pensante per lāintero āorganismoā (che chiamerei corpo āndranghetista putrescente) ĆØ a Reggio Calabria, se cioĆØ il cervello (fino a parola contraria ubicato nella scatola cranica) ĆØ a Reggio Calabria, beh vivaddio, il ācapo dei capiā non puĆ² essere a Rosarno, Polsi o solo anche a Gizzeria o Copanello!
Ma per caritĆ , mi rendo conto perfettamente di una cosa (sbollita la rabia degli anni passati nei quali mi incaponivo a non capire il ritardo di certe analisi): cioĆØ che lāimportante ĆØ segnare una strada dalla quale tornare indietro, spero, sia impossibile. Viva dunque lāunitarietĆ della āndrangheta, purchĆ© si vada finalmente oltre come il procedimento Meta (quantomeno in abbreviato visto che ha passato anche il vaglio della Cassazione) ha giĆ giuridicamente riconosciuto e come sembra che si avvii a riconoscere anche il procedimento Breakfast e i suoi vari filoni (sul processo Meta torneremo la prossima settimana).
Per evitare equivoci la Dna precisa che il Ā«rapporto collusivo con la politica ĆØ caratteristica di tutta la āndrangheta, o meglio, di tutta la criminalitĆ mafiosa, che ĆØ tale proprio perchĆ© condiziona la politicaĀ». La Dna, proseguendo il ragionamento, ricorda, anzi, che in alcuni casi, dalle indagini svolte e dai procedimenti istruiti dalla Dda reggina ĆØ emersa assai spesso, ed in ogni mandamento, piĆ¹ che una collusione, una Ā«immedesimazione fra cosca e amministrazione locale che rappresentavano un continuum indistinguibileĀ».
Anche qui allora sorgerebbe unaĀ riflessione conseguenziale a quella sopra esposta: ma se la collusione con la politica ĆØ caratteristica genetica delle mafie (come insegnano giĆ dal 1876 i viaggi in Sicilia di Sidney Sonnino e di Leopoldo Franchetti) perchĆ© per un tempo interminabile ĆØ passato (e in molte procure ancora scorre) prima di riconoscere che mafia e corruzione (politica) sono i due volti di una stessa medaglia, vale a dire quella dei sistemi criminali evoluti (e sempre in evoluzione)?
E se proprio volessimo spingerci oltre (ma negli anni passati piĆ¹ di un acuto osservatore, per il mio fallace giudizio, lo ha giĆ fatto), dovremmo cominciare a ragionare sul fatto che la testa, piĆ¹ che essere esposta come un trofeo in quel di Reggio Calabria, forse si muove da anni lungo il binario Reggio Calabria-Roma-Milano e su per li rami di questa bella Italia. Un cervello āmobileā proprio perchĆ© oltre al cervelletto (la parte del sistema nervoso centrale coinvolta nellāapprendimento e nel controllo motorio, nel linguaggio, nellāattenzione e di alcuni sensazioni emotive come paura e piacere) ha anche un terminale del sistema nervoso centrale estremamente intelligente, alimentato com ĆØ dal sangue che viene iniettato dalle ramificazioni deviate dello Stato e della massoneria e dai professionisti al soldo.
Per quel che riguarda lāumile e umido analista che scrive, queste riflessioni della Dna sono comunque piĆ¹ che apprezzate: sono lette e controfirmate. E non da oggi. A domani.
MercoledƬ e ieri, su questo umile e umido blog, avrete seguito la parte relativa alla mafia āborgheseā di Reggio Calabria e allāunicum rappresentato dallo scioglimento del consiglio comunale della cittĆ sullo Stretto, oltre al fatto che il ācervelloā della āndrangheta risiede a Reggio Calabria.
Oggi si prosegue sulla stessa falsariga, analizzando ancora la capacitĆ delle cosche reggine di legarsi alla politica (e condizionarla). Unāanalisi che, a mio modestissimo e fallace avviso, testimonia in pieno il male capitale della Calabria: vale a dire la conoscenza delle mani mafiose che vengono strette e, al tempo stesso, la gioiosa felicitĆ nello stringerle e con esse firmare affari. Quandāanche fosse assente la felicitĆ subentra una apatia che spinge a voltarsi dallāaltra parte e prestare dunque il fianco, con questi atteggiamenti omertosi, alla morte inevitabile delle speranze di rinascita di un popolo soggiogato dai sistemi criminali e dal senso sbagliato di āappartenenzaā. In questo gioco al massacro la politica, ben oltre i confini calabresi, ĆØ motore indispensabile.
Un caso emblematico, scrive la Dna, ĆØ quello che ha riguardato lāarmatore ed ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato in via definitiva, il 5 giugno 2013 dalla Corte di cassazione, per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, nonchĆ© protagonista di una lunga e perdurante latitanza in relazione alla quale, fra gli altri, ĆØ imputato lāex ministro dellāInterno Claudio Scajola, che a luglio 2014 ĆØ stato rinviato a giudizio proprio per avere agevolato Matacena a sottrarsi allāesecuzione della pena.
Si tratta di un caso che consente alla Dna di sviluppare alcune considerazioni che appaiono pienamente coerenti rispetto alla āndrangheta borghese.
Innanzitutto dalla sentenza risulta accertato che Matacena era diventato il referente politico nazionale della cosca Rosmini, dunque di una quelle famiglie dellāelite āndranghetista di Reggio cittĆ . Ā«La sua elezione al Parlamento nazionale risultava, quindi ā si legge nel documento a pagina 30 ā propiziata dalla sua disponibilitĆ ad appoggiare sia in sede politica che giudiziaria, le istanze e le richieste provenienti dalla cosca cittadina dei Rosmini ricevendo in cambio un incondizionato appoggio elettoraleĀ».
La Dda di Reggio Calabria, nellāindagine condotta dai pm Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio (questāultimo āufficialeā di collegamento della Dna), sotto la supervisione del capo della procura reggina Federico Cafiero De Raho, ha evidenziato come il legame fra Matacena e le cosche reggine fosse confermato da recenti indagini il cui esito ĆØ stato depositato sia nel dibattimento a carico di Scajola e degli altri coimputati (per i reati di fittizia intestazione di beni e procurata inosservanza della pena) sia nel giudizio che si sta celebrando con il rito abbreviato.
Alla Dda di Reggio risulta in particolare che, a seguito di quel patto illecito, Matacena, attraverso una serie di schermi costituiti da societĆ a lui riconducibili, ha acquisito un ruolo centrale nella realizzazione di quasi tutte le grandi opere svolte a Reggio Calabria nellāultimo ventennio, opere in relazione alle quali risultavano preminenti non solo gli interessi della cosca Rosmini ma quelli dellāintera āndrangheta cittadina. Ā«Date queste premesse, la stessa vicenda della latitanza del Matacena in seā considerata, caratterizzata dalla indiscutibile notorietĆ , anche mediatica, della conferma della sentenza di condanna definitiva per 110 -416 bis cp ā si legge ancora nelle riflessioni delle Dna āĀ assume, ai fini che qui interessano, un significato pregnanteĀ».
Emerge, infatti, al di lĆ delle singole responsabilitĆ penali che saranno accertate in sede giudiziaria che, nonostante questo (notorio) curriculum, addirittura divulgato dai mezzi dāinformazione, rispetto al quale, in tutta evidenza, Ā«nessuno poteva affermare di ānon sapereā Ā», Matacena, anche da latitante (e non solo da condannato per āndrangheta in secondo grado) ha continuato ad avere rapporti intensi e stabili con esponenti di primo piano della politica e del mondo degli affari. Ā«Matacena, insomma, oggettivamente, e partendo proprio dallāultima osservazione che si ĆØ fatta ā continuano i pm nella relazione della Dna Ā ā a prescindere dalla sua stessa volontĆ , rappresenta la perfetta concretizzazione ā si direbbe, impermeabile a qualsiasi avversitĆ ā delle inossidabili caratteristiche relazionali che deve avere, per la āndrangheta, il politico (e lāimprenditore) colluso. E la circostanza che il Matacena avesse un legame preferenziale proprio con la cosca Rosmini, spiega perfettamente ā ed ancora una volta, in modo assolutamente esemplare ā quello che si ĆØ cercato di dire nelle pagine precedenti a proposito della superiore e specifica capacitĆ della āndrangheta di Reggio cittĆ di intrattenere rapporti con soggetti di alto profilo che, a loro volta, sono punti di partenza potenziali per allacciare, direttamente o indirettamente, nuovi ed ulteriori collegamenti con altri soggetti insediati nei piani alti della politica, delle istituzioni e dellāeconomia, in modo da calare lāintero sistema āndranghtistico in una rete di rapporti che consente una penetrazione sempre piĆ¹ profonda nella parte che conta del PaeseĀ».
Ma ancora altro, di questa vicenda, sempre per la Direzione nazionale antimafia merita di essere evidenziato.
La Dna si riferisce in particolare alla circostanza di fatto ā emersa in altri procedimenti, ma acquisita poi in quello principale con i vari stralci ā che Amedeo Matacena ā a prescindere dalla valenza penale della vicenda ā avesse contatti, anche, con esponenti di primo piano di cosche operanti nella Piana di Gioia Tauro e nel catanzarese (fra cui quella guidata da Francesco Pino, attualmente collaboratore di giustizia). Dagli atti dāindagine risultava che con loro Matacena aveva incontri diretti, finalizzati alla risoluzione e alla mediazione in complessi affari e dai quali riceveva lāimpegno di un pieno appoggio in favore di candidati da lui sostenuti e a lui vicini in occasione di tornate elettorali. Ā«Evidente, ai nostri fini ā specifica la Dna ā il rilievo dei fatti appena richiamati: tenuto conto della circostanza che (allāepoca) i gruppi di āndrangheta in questione, erano certamente legati al āCrimine di Polsiā, si comprende come il fatto sia dimostrativo, ancora una volta, del ruolo svolto dalle cosche di Reggio cittĆ . Vale a dire quello di mantenere, nellāinteresse di tutta la āndrangheta, i rapporti con la politica āaltaā. In questo caso infatti, seppure il legame forte del Matacena, accertato giudiziariamente, era quello con i Rosmini che creavano il canale diretto con il politico, questo legame, tuttavia, lungi dallāessere riservato esclusivamente alla predetta cosca e, quindi, gestito in modo monopolistico, si estendeva alle altre componenti della āndrangheta, operanti in territori lontani e diversiĀ».
Proprio questa particolare conformazione della āndrangheta di Reggio cittĆ , questa sua specifica attitudine al rapporto con i ceti dirigenti, trova conferma e controprova nella diversa dislocazione e composizione delle proiezioni nazionali ed estere delle cosche del mandamento di centro, che anche in questo, presentano peculiaritĆ rispetto a quelle dei mandamenti della Tirrenica e della Ionica.
Per ora ci fermiamo ma la prossima settimana si ricomincia.
Roberto Galullo